Ciccio di Cefalù, scarpe da favola

 

C’era una volta un umile artigiano, le cui uniche ricchezze consistevano in una notevole dose di passione e in una carica di simpatia innata e contagiosa. Viveva in una terra povera e bellissima, una Cefalù turisticamente ancora tutta da scoprire, dove le giornate trascorrevano monotone come può essere ripetitiva la vita in un villaggio di pescatori. Un’immutabilità che però ogni primavera conosceva un’eccezione, quando il mondo delle corse calava in massa alle pendici delle Madonie per perpetuare il Mito della Velocità: affrontare la Targa Florio, la corsa più antica del mondo. La difficoltà di mettere a punto le vetture e di memorizzare un tracciato di oltre diecimila curve disseminate lungo 72 km di strade di montagna, obbligavano le squadre ad arrivare in Sicilia con un certo anticipo rispetto alla gara.

Sognare è un lusso che si può concedere a tutti, figuriamoci ad un ragazzo vispo come il nostro Ciccio, calzolaio di professione. Come tanti ragazzi della sua età, nei ritagli di tempo Francesco Liberto ficca il naso in quell’ambiente eroico e irresistibile. Incontrare i piloti all’uscita degli alberghi o nei bar e trattorie da loro frequentati non è certo un problema, scambiare quattro chiacchere con loro nelle frequenti pause di lavoro è semplicissimo. Qualcosa di difficile da comprendere per chi oggi è abituato a vederli pascolare unicamente dentro quei recinti dorati e inviolabili che sono i paddock della Formula uno.

Ed è qui che la nostra favola prende una svolta, con i piloti dell’Alfa Romeo nei panni delle Cenerentole senza scarpette e Ciccio che s’ingegna mago del cuoio: si trattava di esaudire le loro specifiche esigenze creando una calzatura ad hoc. Nasce così quasi per gioco quel primissimo paio di scarpe destinato alle corse.

In effetti a partire dalla fine degli anni ’50 il mondo delle corse si va trasformando: i piloti stanno progressivamente smettendo i panni dei cavalieri del rischio per assumere quelli di professionisti della velocità. Si inizia a parlare di preparazione atletica, di vita sana, di sicurezza ma anche di un abbligliamento più consono ad un mestiere tanto rischioso. Fino ad allora infatti il criterio era per lo più dettato dalla praticità, dall’abitudine se non addirittura dalla superstizione. Nuvolari ancora alla fine degli anni ‘50 usava indossare uno spartano abbigliamento motociclistico, contrapposto alle elegantissime tute in lino che hanno reso celebre Achille Varzi. Ascari cercava di esorcizzare la paura mettendo sempre la stessa polo celeste (e il destino vorrà che troverà la morte in pista quell’unica volta che si concesse una eccezione), e in molti, fino agli anni 50, usavano le cuffie di cuoio rese celebri dagli aviatori della Prima Guerra Mondiale. I caschi, da semplici elmetti come stampi da budino diventano via via sempre più robusti, per le tute si usano le prime fibre in nomex piroresistenti, e appaiono dei veri guanti in pelle con inserti in camoscio, indispensabili per pulire occhiali e visiera durante la corsa. In questa rivoluzione nei costumi tanta parte hanno avuto gli assi di allora come Stirling Moss, maestro di eleganza, o più tardi Jackie Stewart, il primo pilota moderno della storia, paladino della sicurezza. Fra tanta rivoluzione un accessorio sembrava non coinvolto, eppure indispensabile per ogni membro della cosiddetta “tribù dei piedi pesanti”: le scarpe.

2 commenti su “Ciccio di Cefalù, scarpe da favola

  1. franceschino contu says:

    una leggenda nel motorismo mondiale che dire.Non ci sono parole per definire un prodotto del genio italiano che pian piano sta sconparendo.
    frenky556

  2. Marco Gentili says:

    Grazie, gireremo il complimento al caro Ciccio, grande amico di Motorcult.tv

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